La Storia del Carnevale

La Storia

Un aspetto tipico delle manifestazioni del Carnevale aquesiano erano i semplici riti del Giovedì Grasso, strettamente legati all’ambiente contadino e oggi quasi totalmente scomparsi.
Si trattava di una sorta di teatro popolare itinerante in cui, un gruppo di soli uomini, completamente mascherati, rappresentava sei personaggi fissi che si spostavano di podere in podere a fa la cerca di saporita carne di maiale. C’erano un suonatore, un pagliaccio, un vecchio, una vecchia, uno sposo e una sposa. Partivano il giovedì mattina di buon ora e iniziavano la loro visita per i casali di campagna. Il pagliaccio che teneva in mano un lungo spiedo o spito, appena entrato nella casa, cercava subito la pertica dove era stesa la carne di maiale a stagionare e iniziava a gridare: ciccio, ciccio, ciccio.... Gli altri intrattenevano la famiglia ed in particolare le ragazze, suonando e ballando.

Oltre la carne di maiale, che veniva infilzata nello spito, ricevevano anche uova e altre vivande che riponevano in un capagno portato dal vecchio. Le maschere, dopo aver divertito ed incuriosito la numerosa famiglia contadina, che in genere non riusciva a riconoscere gli interpreti, se ne andavano verso un altro podere e di nuovo un busso alla porta, la solita frase: "Fate bono a lo spito, Dio ve salve vostro marito" e si ricominciava a ballare.
Tutto questo fino a sera, quando, presso l’ultimo podere del percorso, si faceva una grande veglia, banchettando con le vivande ricevute, tra suoni, canti, balli e tanto vino.

Prime testimonianze

La prima testimonianza certa dell’esistenza del Carnevale ad Acquapendente è del 1589 quando Pietro Paolo Biondi nelle sue Croniche, parla di Mastro Battista Alberici, un “manescalco molto valente… è homo splendido, et inventor di far cose nuove in cose di miracoli e devozioni, et mascherate per Carnevale”.
Mastro Battista quindi oltre ad ideare rappresentazioni di carattere sacro, si dilettava nel realizzare opere più profane per il divertimento della comunità che in quel tempo viveva con particolari agiatezze. Come queste opere fossero non possiamo saperlo probabilmente erano rappresentazioni allegoriche simili a quelle che nella stessa epoca venivano costruite in altre zone della penisola. Certamente Mastro Battista non aveva i mezzi dei costruttori attuali. Il modello per le sue mascherate era il carnevale rinascimentale barocco romano. Il suono del campanone, i carri allegorici e la morte di Re Carnevale dopo la fiaccolata finale sono tutti elementi caratteristici di questo antico carnevale e presenti nel nostro.
È chiaro che il carnevale ha radici ben più lontane nel tempo, simbolo in forme rappresentative cha a volte ci appaiono senza senso, fatti per divertimento, avevano invece un preciso valore rituale. Il Carnevale infatti alle sue origini era uno dei riti agrari d’inizio stagione ed aveva lo scopo di espellere il male, il buio dell’inverno e propiziare la fecondità della terra. Un rito basato sul principio del capro espiatorio attraverso il quale gli influssi malefici venivano sconfitti. La sua morte simbolica dovrebbe testimoniare fecondità e abbondanza dei raccolti ma carnevale non muore veramente, tutti sanno che ogni anno ritornerà a sancire l’immutabilità delle stagioni e della natura. Questo rito, in forme diverse, si ritrova nei saturnali romani in cui una figura simbolica veniva eletta Re della festa e si aveva un momentaneo capovolgimento delle autorità.

I secoli successivi

Il Carnevale è quindi un periodo di trasgressione e scherzi come quelli che lo statuto del XVII secolo si preoccupava di disciplinare. Era infatti stabilito che “sotto pena di cento lire si proibisce a ciascuna persona nei giorni di Carnevale buttare in faccia alle Maschere qualunque lordura, interiora di animali, loto, terra, e ciascuno possa accusare i delinquenti”.
Qualche secolo dopo, nel clima del più cupo romanticismo il famoso Charles Dikens nel suo “Pictures from Italy” scritto nel 1844-45, lasciò un quadro poco allegro del carnevale aquesiano scrivendo … “ad Acquapendente festeggiavano il Carnevale, la festa consisteva in un uomo vestito e mascherato da donna ed in una donna vestita e mascherata da uomo che passeggiavano malinconicamente per le vie, affondando nel fango fino alle caviglie”.
Certo Acquapendente non trovò Dikens nello spirito migliore, infatti nello stesso periodo si hanno rappresentazioni teatrali che, dispensando genuina allegria nell’antico Teatro dell’Orto e successivamente veglie danzanti nel ristrutturato Teatro Boni, si sono protratte fino ai giorni nostri. All’inizio del secolo, mentre generazioni di Aquesiani sfoderavano i loro abiti migliori nelle serate di gala, i carri allegorici non erano ancora in cartapesta ma immobili quadri plastici forse ultimi eredi delle mascherate di Mastro Battista.
La prima testimonianza certa dell’uso della cartapesta è del 1923 in quell’anno uno dei carri era costituito da un enorme grammofono all’interno del quale suonava nascosta un’orchestrina. Il carro era trainato dai buoi come del resto è avvenuto fino agli anni ’50. Non aveva grandi effetti di movimento ma sicuramente era molto suggestivo. Si racconta che l’orchestrina suonava a lume di candela e ad un certo punto si vide uscire del fumo ed il carro s’incendiò anticipando involontariamente la cremazione del carnevalaccio.

Dopo il 1900

Con il passare del tempo i carri divennero più elaborati e fortunatamente più sicuri. Negli anni precedenti la II guerra mondiale erano vivacizzati dalla presenza di moltissimi giovani mascherati che cantavano canzonette create da poeti e musicisti locali. Negli anni ‘50 e ‘60 le strutture raggiunsero dimensioni ragguardevoli e si sviluppa particolarmente il così detto castello, cioè la parte centrale che racchiude tutti i marchingegni che permettono i movimenti dei pupazzi. Allora i carri erano costruiti dai gruppi organizzati dalle varie associazioni che si avvalevano del lavoro e dell’inventiva di artigiani, decoratori, muratori, falegnami che durante l’inverno, non potendo lavorare a pieno ritmo, mettevano volentieri a disposizione la loro opera e le loro capacità. In seguito per le mutate condizioni del lavoro artigianale si è cercato di costruire i carri impiegando strumenti e materiali moderni in modo da ridurre soprattutto i tempi di lavorazione.
Il rintocco della vecchia campana della Torre dell’Orlogione dava il via al Carnevale Aquesiano con le sue maschere veloci e sghignazzanti ed i carri con i loro grandi pupazzi di cartapesta che, allora come oggi, si muovevano un pò impacciati nelle strette vie del centro storico. Il tradizionale girotondo nella piazza principale è sempre il momento culminante, lo spettatore viene coinvolto dal clima di generale euforia. I bambini per un giorno si possono sentire Cappuccetto Rosso e Robin Hood, possono finalmente diventare fate e Superman. I grandi, allontanati gli impegni della vita quotidiana fuori dagli schemi ordinari, ritrovano la spensieratezza e si sfogano con scherzi ed atteggiamenti che normalmente rifuggono, un pò come i loro antenati che cercavano di scacciare la paura del buio, del male, della fame. Essi per un giorno allontanano le angosce della vita moderna. Come sempre avviene il carro è di facile lettura nel momento in cui è attuale, ma subito dopo appare superato.
È proprio questo però il bello del Carnevale, egli diviene presto vecchio, muore e quindi rinasce di lì a poco.